Racconto storico: ricordi di un viaggio del 1936

scialuppa. “Scendi anche tu”, mi dicono, e m’indicano una scaletta di corda.
***
Mi torna in mente “la borsa nell’armadio”.
Non sapevo cosa fare. Il rumore dell’acqua era incessante. Qui c’era la luce dei riflettori, ma giù? Mi guardai intorno. La teca dell’emergenza era rotta, il tubo della manichetta antincendio pendeva, dondolando. Mi avvicinai alla teca, dentro c’era una torcia elettrica ricoperta di gomma. Provai ad accenderla. Funzionava.
Ora dovevo ricordare esattamente il percorso da fare per scendere in cabina. Lo scalone era nel salone delle feste, dove stavamo al momento dell’incidente. Fu relativamente facile muoversi nella grande sala, ma non altrettanto scendere gli scalini messi di traverso, quasi verticali. Era meglio usare la balaustrata, come una scala a pioli, Nel corridoio c’era acqua. La luce della torcia mi fece vedere degli strani vuoti, sotto il livello dell’acqua, posti a distanze regolari. Mi ci volle un po’ per comprendere che erano le cabine del lato sommerso, con le porte aperte, nelle quali rischiavo di cadere. Il problema, pensai, era come aprire la porta della cabina numero 13, sul lato opposto. Bisognava sollevarla, come una botola. Quando tentai di farlo, la porta, scardinata, quasi mi venne addosso. Andò a finire nell’acqua e si mise a galleggiare. Dalla cabina caddero materassi, sedie, bagagli. Per difendermi da questa pioggia stavo per perdere la torcia, che avevo infilato nella cintura dei pantaloni. Riuscii ad entrare. L’armadio non c’era più. Poi capii che era stato scaraventato sulla parete opposta. Infatti, era lì, con un’anta aperta e tutti i cassetti spariti (erano tra le cose piovutemi addosso). Aprii l’anta dei vestiti. La borsa era al suo posto, più grigia che mai.
Bisognava portarla fuori, ma con la torcia in una mano e la borsa nell’altra non potevo muovermi, non sapevo come sorreggermi per superare gli ostacoli, per vincere la pendenza. Per tornare su, servivano mani e piedi.
Dall’oblò pendevano i cordoncini delle tende.
Rimisi la borsa nell’armadio e mi legai la torcia all’avambraccio sinistro, Niente da fare, avevo sbagliato. Dovevo legarla alla parte superiore del braccio, prima del gomito, altrimenti il fascio di luce si sarebbe spostato col muovere la mano. La borsa l’avrei messa sulle spalle, come uno zaino, sempre legata con una di quelle provvidenziali cordicelle. Non ci riuscii. Slegai la torcia e cercai di appoggiarla sulla cuccetta. Vidi dei cuscini, tolsi due federe, le misi l’una nell’altra e dentro vi posi la borsa, col cordoncino legai le federe a sacco, me lo posi sulle spalle e lo fermai passando parte del cordoncino intorno alla vita, tornai a legare la torcia al braccio e cominciai la strada del ritorno. Il caldo era divenuto insopportabile, c'era anche del fumo. Ero zuppo da capo a piedi.
Per muovermi dovevo eseguire una manovra attenta e laboriosa: vedere dove aggrapparmi,...

Autore: pp


















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